Raccontare un brand per immagini. Intervista a Barbara Simone Roberti

1 Marzo 2018, di bake journal

Come sintetizzare la storia e i valori di un brand in poco più di 30 secondi? Come costruire una storia in cui racconto e prodotto abbiano un buon equilibrio? Abbiamo cercato di capirlo in questa chiaccherata con Barbara Simone Roberti, fondatrice della casa di produzione “À bout de film”.

Quando (e come) nasce il progetto À bout de film?

À bout de film nasce come idea nell’estate del 2013 (idea che si concretizza solo nel marzo 2014). Uscivo allora da un’esperienza lavorativa particolarmente negativa, che mi aveva fatto un po’ disamorare del mio lavoro, motivo per cui mi ero convinta a lasciare la casa di produzione nella quale lavoravo e prendermi un “periodo sabbatico” di qualche mese. Ma nel tempo ho acquisito la convinzione che chi fa produzione lo fa per passione, e le passioni, se non sono fuochi di paglia, durano nel tempo… per cui ho deciso dopo pochi mesi non solo di riiniziare a lavorare, ma di aggiungere alla mia attività un tassello in più, quello imprenditoriale, con la creazione della società.
La spinta decisiva è arrivata grazie alla mia ex socia, Marie Nurra: senza il comune entusiasmo alcune battaglie, dalla burocrazia alla difficoltà di fare impresa in Italia, sarebbero sembrate impossibili da vincere e À bout de film non sarebbe ora in piedi.
À bout de film nasce da due esigenze, di una persona di produzione da una parte e di una regista dall’altra, di cambiare alcune logiche stantie del fare cinema e di raccontare storie che altrimenti non avrebbero avuto voce. Sono passati quasi 4 anni. Alcuni sogni sono stati esauditi, altri sono in costruzione. Sicuramente quella miccia che ha fatto sì che due ventottenni si incaponissero su un progetto che si presentava come un salto nel buio è ancora accesa.

Nella vostra presentazione si legge che “Il cinema è impresa, l’impresa è lavoro, il film un prodotto.” Un assunto non sempre scontato in questo lavoro. Perchè, secondo te?

Quella è sicuramente la frase più polemica della presentazione, e mi fa piacere che tu l’abbia notata. Si riferisce anche questa a due differenti punti di vista.
Da una parte quando scriviamo “il cinema è impresa” ci riferiamo a quella falsa convinzione su cui molti produttori (ma non solo) si crogiolano per cui fare cinema è un privilegio. I lavori del cinema sono sicuramente stimolanti, ma sono anche fatica, orari e ritmi incredibili, periodi di fermo tra un lavoro e l’altro (che non è pura vacanza ma domanda pressante sul quando partirà il lavoro successivo). Hanno cioè pregi e difetti come qualsiasi altro lavoro. La falsa idea per cui fare arte è un privilegio, riduce questo lavoro ad hobby e genera tutta una serie di meccanismi di sfruttamento che hanno svalutato il lavoro di professionisti del settore deprezzandolo. Solo se consideriamo il cinema come un’impresa riusciamo a dare il giusto valore ai mestieri del cinema. Solo se il cinema è impresa può crescere, altrimenti rischia di diventare una fucina di prodotti mediocri o un gioco per ricchi.
Secondo la stessa logica anche il film è un prodotto per cui deve essere pensato per gli altri. Spesso ci arrivano delle sceneggiature completamente autoreferenziali, come se il film fosse uno sfogo personale. Non ha senso per me concentrare così tanti sforzi come quelli che si impiegano per costruire produttivamente un film per un film che vedranno in tre. Al di là della filiera distributiva (ma quello è un altro problema e lì forse la polemica potrebbe diventare più accesa) che spesso seppellisce film che meriterebbero davvero di essere visti, la provocazione di definire un film prodotto e non arte è un invito a creare dei film vendibili, cioè talmente belli da essere necessari.

Quali sono gli ingredienti di una buona produzione video per un brand?

Abbiamo fino ad ora parlato di cinema ma À bout de Film lavora anche tanto e grazie alla pubblicità. In pubblicità l’arte è al servizio del brand. Per noi una pubblicità intelligente, e le ultime tendenze pubblicitarie lo dimostrano, è quella in cu vi è un totale equilibrio tra il racconto e il prodotto che si vuole raccontare. La tendenza del commercial di questi anni va proprio in questa direzione: sono tantissime le pubblicità che svelano solo alla fine il prodotto. Il racconto parla del brand arricchendolo però con tutta una serie di significati aggiuntivi che non definiscono solo le caratteristiche del prodotto che viene sponsorizzato, ma un contorno di emozioni associate a quell’oggetto, così che lo spettatore, come attratto da una calamita, non soltanto è intrattenuto dal discorso pubblicitario senza sentire il bisogno di cambiare canale o di passare ad un altro link, ma, terminata la visione, ha anche voglia di provare quelle stesse emozioni viste nello spot stavolta su di sé, e per farlo deve (deve!) avere quel prodotto, deve diventare parte della community del brand. Il potere del video, quando ben sfruttato dal brand, rende lo spettatore cliente (come per un sortilegio).

Web series: qual è la loro forza e perchè secondo te sono sempre più utilizzate dalle aziende per raccontare la loro storia?

Le serie web obbediscono esattamente alla logica di equilibrio tra brand e racconto di cui parlavo prima. Le storie, che da sempre intrattengono i popoli, riescono a tenere viva un’attenzione che va oltre il tempo medio di fruizione di una pubblicità.
La serie web si dimostra vincente per tutta una serie di ragioni. Prima di tutto il rapporto di costo tra una serie web e uno spot pubblicitario per la tv è di almeno 1:5 : un’ azienda con uno stesso investimento parla per un tempo 5 volte maggiore allo spettatore. Inoltre è un prodotto che ben si adatta alle logiche di fruizione della nostra società. Siamo infatti abituati a una rapidità nella fruizione per cui dopo pochi minuti la nostra attenzione viene catturata da altro (e sempre più in direzione di una diminuzione di questo tempo di attenzione: le stesse serie web sono passate dai 6 minuti per puntata di qualche anno fa agli attuali 2, massimo 3 minuti); infine abbiamo progressivamente sostituito il film con le serie tv e on demand e quindi siamo ormai avvezzi ad un tipo di racconto spezzettato. Anche la pubblicità segue le stesse logiche e allora si spezzetta, accorcia ed è sempre presente grazie al web, in coda o anticipando video in internet, nei banner ad etc.

Qual è il film (o il regista) da cui hai tratto maggiore ispirazione per il tuo lavoro?

Il nome À bout de film rimanda inevitabilmente a “À bout de souffle”, capolavoro di Jean-Luc Godard e manifesto di un’epoca.
Però più che da registi, cerco di prendere ogni giorno spunto e insegnamento da produttori che ho avuto ed ho la fortuna di incontrare lungo il mio percorso. Rubando da ognuno un segreto, un briciolo di coraggio, un pizzico di pazienza, o facendo tesoro di comportamenti che non approvo o condivido, cerco di fare, per quanto possibile, di À Bout de Film “una produzione illuminata”.

Barbara Simone Roberti, nasce ad Alatri (Fr) nel 1986. Nel 2004 si trasferisce a Roma per studiare Letteratura, musica e spettacolo. Dopo la laurea triennale, ottiene la Laurea magistrale in Forme e Tecniche dello Spettacolo con una tesi sulla struttura produttiva della lunga serialità in Italia.
Si diploma alla Nuct – scuola internazione di Cinema e Televisione, frequentando il corso di Produzione. Nel 2014 fonda, insieme a Marie Nurra, la società À bout de film (www.aboutdefilm.com).

Roma, 8°
Londra, 14°
Berlino, 5°
New York, 3°
Tokyo, 13°