Bahlsen, perché questo rebrand?
Circa due anni fa Bahlsen ha deciso di attuare un rebranding della propria immagine. E in questo non c’è nulla di male, il momento di cambiare arriva per tutti, anche perché solo stando al passo coi tempi un’azienda può mantenere alto l’interesse dei propri clienti. Ma quando si cambia bisogna chiedersi: dove mi porta questo cambiamento?
Come riportato dal CEO Alexander Kühne, il rebranding di Bahlsen sembra aver portato l’azienda a un calo delle vendite di quasi il 12%. Il flop è dovuto a motivi di natura sostanzialmente psicologica, oltre che economica. Bahlsen ha infatti deciso di modernizzare il suo packaging in modo da risultare un prodotto di più alta qualità, allineando il brand all’aumento di prezzo dei suoi prodotti. Cosa che ha fatto storcere il naso a non pochi consumatori: la loro fidelizzazione si basava non solo sulla garanzia di poter acquistare a un prezzo stabilito un prodotto divenuto familiare, ma anche sull’identità specifica attribuita al brand. Un’identità che negli anni gli ha assicurato una riconoscibilità immediata sugli scaffali dei supermercati.
Mettiamo a confronto passato e presente e vediamo cosa è andato storto nel tentativo di modernizzazione di Bahlsen.
Cercare l’equilibrio tra modernità e tradizione
Bahlsen produce biscotti, un prodotto che richiama facilmente l’idea di famiglia e di tradizione. Ed infatti Bahlsen si presenta come un’azienda a gestione familiare, tramandata di generazione in generazione. I clienti fidelizzati sono stati abituati a un’atmosfera di tal genere, a partire da come il prodotto si presenta.
Prima di venire rebrandizzato, il packaging aveva una serie di caratteristiche improntate alla semplicità che lo rendevano riconoscibile:
- sulla confezione erano rappresentati più biscotti che invogliavano all’acquisto;
- lo sfondo della confezione era fotografico e evocava nel cliente un ambiente reale e quotidiano (un tavolo, un piatto);
- le scritte e i dettagli visivi erano principalmente bianchi e avevano uno stile rotondeggiante.
Queste caratteristiche sono state cambiate per dare al brand un aspetto non solo più moderno, ma anche più prestigioso. I clienti non acquistano più dei semplici biscotti, ma dei biscotti di alta qualità per i quali dovrebbe valere la pena spendere di più.
Come si è dunque deciso di rinnovare il packaging?
- a figurare sulla confezione troviamo un solo biscotto che nella sua solitudine dovrebbe indicare una scarsità di prodotto indice di una qualità maggiore;
- lo sfondo, in stile minimal, è a tinta unica con colori elegantemente pastellati;
- ad impreziosire ancor di più il tutto, per scritte e dettagli sono stati scelti il dorato, il bronzo, l’argento con tonalità cromate o riflettenti.
Se da una parte il rebranding grafico del packaging ha incontrato l’entusiasmo della design community, dall’altra il calo delle vendite indica come la reazione dei clienti sia stata l’opposto. Nel dare una spiegazione a questo fenomeno, Alexander Kühnen ha dichiarato: «Il design ha un valore artistico, ma non è del tutto in linea con ciò che i consumatori si aspettano in questa categoria di prodotti».
L’azienda è dunque ben consapevole del problema creatosi dal contrasto tra tradizione e innovazione. Soprattutto è consapevole del rischio di perdere clienti fidelizzati da anni, che in Bahlsen vedevano un punto di riferimento per l’acquisto di biscotti.
Prospettive passate e future del rebranding
La mossa successiva di Bahlsen dovrà sicuramente tenere conto di tutto questo anche se, quando si attuano operazioni di rebranding forti, è difficile tornare indietro. Basti pensare al caso della birra americana Bud Light che ha attuato un cambiamento di comunicazione troppo diverso dalle concezioni dei suoi clienti. Per una campagna pubblicitaria l’azienda ha scelto come testimonial l’influencer transgender Dylan Mulvaney, allineandosi in questo modo con i tempi moderni e lanciando un importante messaggio di inclusività. Eppure, il target di riferimento di Bud Light non ha affatto apprezzato il tentativo, forse troppo politicizzato, e le vendite sono calate del 10%.
O ancora: il restyling di Tropicana, famoso brand di succhi di frutta, è stato un tale flop da costringere l’azienda a fare un passo indietro. Nel 2009 infatti Tropicana aveva deciso di modernizzare il packaging dei suoi prodotti cambiandone drasticamente il design. Le nuove confezioni, per quanto sicuramente più eleganti e visivamente più contemporanee, erano così diverse da ciò che i clienti erano abituati a vedere – e acquistare – da rendere irriconoscibile il marchio. Per non perdere acquirenti fidelizzati, Tropicana è dovuta tornare al suo design precedente che, per quanto semplice, funzionava di più.
Cambiare, evolversi, modernizzarsi: parole che un’azienda non può ignorare ma che contemporaneamente deve prendere con le pinze. I clienti, soprattutto quelli che si affidano a un’azienda da molto tempo e che lo fanno proprio per la sua identità specifica, non sono mai pronti ai cambiamenti.
Eppure negli ultimi anni sempre più aziende scelgono la strada del rebranding, avviandosi sulla strada della modernizzazione. Per quanto alcuni possano sconsigliare caldamente questa direzione (citando il magazine Medium: «the short answer to the question “when is it the right time to rebrand?” is: Never»), non cambiare significa rimanere immobili in un mercato in continuo movimento. Bisogna sempre ricordare che rinnovare la propria brand identity significa poter distinguersi dagli altri e posizionarsi nelle menti dei clienti.
La strada migliore sembrerebbe trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione, ma questo non è un cammino già tracciato. Bisognerà costruirlo passo dopo passo, un rebranding alla volta.