L’influencer marketing non è un gioco da ragazzi

21 Marzo 2019, di bake journal

Quando nel 2010 Instagram venne lanciata sul mercato, in molti si sono iscritti pensando fosse l’ennesima app fotografica. In meno di 10 anni, è utilizzata dal 17% degli italiani e da più di 600 milioni di utenti in tutto il mondo. Oltre ad acquisire popolarità, ha creato una nuova formula narrativa: rappresentare se stessi in un flusso di immagini.
Lanciata come una mobile photography è diventata una piattaforma in cui il culto dell’immagine (e di se stessi) trova la massima espressione. È in questo contesto che si sviluppa il fenomeno dell’influencer marketing.

L’influencer su Instagram ha un impatto comunicativo elevato rispetto ad una specifica nicchia di pubblico. Possiede una spiccata vena relazionale, e tramite la pubblicazione di foto e video estremamente curati, crea contenuti verticali su uno o più argomenti.
Al contrario delle celebrities che sono approdate su Instagram, gli instagrammer sono nativi della piattaforma, ed è questo il loro punto di forza.
Le aziende colgono l’opportunità di coinvolgere questi particolari utenti e renderli brand ambassador/testimonial dei loro prodotti, per la loro intrinseca capacità di essere punti di riferimento per un determinato segmento di pubblico a cui hanno accesso e da cui sono considerati autorevoli.

Il grande vantaggio di utilizzare influencer all’interno della propria strategia di marketing è proprio questo: chi li segue, ha fiducia in loro.
Essendo una figura ibrida tra testimonial e consumatore, funziona perché è autentico, normale, narrativo e ispiratore.

Ogni singolo follow degli influencer è sinonimo di fiducia che va curata e conservata.
La capacità di mantenimento della fan base per ognuno di loro è la base del successo sia dell’account, che delle collaborazioni con le aziende con le quali lavora.

Quando queste collaborazioni sono proficue e portano risultati e quando invece diventano un vero e proprio fail?

La “trappola” principale da evitare è quella dei finti Influencer. Per far questo è necessario utilizzare dei tool che siano in grado di scoprire chi ha avuto una crescita organica e chi invece ha acquistato i suoi follower. Nel secondo caso infatti le interazioni non ci sono o non sono veritiere, non esiste cioè la fiducia di cui sopra e qualsiasi strategia sballerebbe senza portare ai risultati “garantiti” dai numeri.

Bisogna anche identificare chi sono gli influencer più seguiti nel proprio Paese rispetto al proprio prodotto o brand, e per farlo ci sono agenzie apposite o tool online come Iconosquare Influencers o Buzzfeed.

Individuata la persona giusta, è necessario parlare dei contenuti.

Regola numero 1: libertà d’espressione.
Imporre cosa dire a chi spontaneamente parla ogni giorno con i propri follower, ha calibrato con il tempo la conversazione e ha scoprendo cosa comunicare e come, creerebbe un contenuto impostato, con il risultato di avere un messaggio che rispecchia i canoni di un publiredazionale o di una pubblicità vecchio stampo.
Gli influencer devono essere sinceri quando consigliano o testano un prodotto, e se non è buono hanno l’obbligo morale di dirlo o di non accettare la collaborazione, evitando di risultare dei marchettari, cosa che li penalizzerebbe.
È necessario mantenere il proprio stile comunicativo e inserire la comunicazione adv all’interno di una cornice familiare ai propri utenti che hanno il diritto di sapere che si tratta di un prodotto sponsorizzato. Solo così può funzionare questa nuova forma di marketing basata sulla fiducia.

Cosa può andare storto?

Una volta scelta la persona giusta per il nostro target e stabilito il tipo di rapporto di collaborazione con l’influencer, con i rispettivi limiti e libertà, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

È accaduto in diversi casi, ultimo quello di Sephora con l’Influencer americana Olivia Jade Giannulli, diciannovenne statunitense famosa per il suo canale YouTube da quasi due milioni di follower, in cui dà consigli di make-up e moda.
La collaborazione tra Olivia e Sephora prevedeva la creazione di una linea di ombretti firmata dall’Influencer e lanciata sul suo profilo e su quello del brand.
Tutto stava andando per il meglio e il prodotto in poche ore era già sold out.
Arriva l’inaspettato: i genitori di Olivia vengono arrestati nell’ambito di un’inchiesta su presunti esami truccati per l’ammissioni della figlia ad alcune notissime università statunitensi.
Gli utenti si scagliano sui profili social dell’azienda, di Olivia e sulle recensioni del prodotto, che viene ritirato dagli store.
Sephora subito dopo comunica di aver disdetto la collaborazione con Olivia Jade Giannulli per la sua dubbia moralità.

Quella fiducia su cui si basa il rapporto tra follower e influencer e tra influencer e azienda è legata da un filo stretto e sottile, che se si spezza ha dirette conseguenze per tutte e tre le parti in gioco.

È in crescita poi il fenomeno dell’Unfollower marketing, caso in cui la reputazione dell’influencer è talmente crollata che, non soltanto le aziende hanno interrotto le collaborazioni facendo dei comunicati stampa su Instagram per rassicurare i propri follower e allontanarsi immediatamente dall’immagine ormai negativa dell’account in questione, ma gli stessi follower dell’influencer, indignati, hanno immediatamente fatto “unfollow” facendo crollare l’esercito creato con il tempo.

Photo by Lalo Hernandez on Unsplash

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