Le imprese adattano le proprie azioni di marketing in relazione ai cambiamenti del mercato. Se negli anni ‘20 si parla di funzionalità dei prodotti, in seguito si fa appello ai clienti suggerendoloro ciò che una particolare birra o lavatrice dice di noi e del nostro posto nel mondo. In anni più recenti, si è stato fatto un ulteriore passo avanti. La strategia è quella di dichiarare i valori aziendali, e con lo scopo di essere percepiti più umani dalle persone, affermare anche la propria opinione. Ed è qui il nocciolo della questione.
Le aziende hanno iniziato a raccontare tramite le pubblicità il loro punto di vista, dalle questioni sociali a quelle politiche e ambientali.
L’intolleranza, il razzismo e l’omofobia sono solo alcuni dei temi che abbiamo visto mettere in scena negli spot più premiati.
Cosa succede però quando il clima politico si scalda e si rischia di fare seriamente arrabbiare chi domani dovrà acquistare il nostro prodotto?
La risposta la troviamo osservando il momento che più rappresenta il capitalismo americano, il Super Bowl con i suoi costosissimi spot all’intervallo.
Nel 2017, Budweiser ci ha ricordato di essere tutti immigrati, la Coca-Cola cantava una versione multilingue di “American the Beautiful” e Audi parlava di sessismo e disuguaglianza, ma se i consumatori non sono d’accordo? Ed ecco una nuova strategia di marketing delle aziende: non dire nulla di interessante. Il campo è troppo minato per prendere posizione. La conferma arriva infatti negli spot del Super-Bowl dell’anno successivo. L’evento sportivo dell’anno è terminato qualche giorno fa, ed ecco come si sono schierate le aziende anche nel 2019. Stella Artois ha scelto come testimonial Carrie Bradshaw (Sara Jessica Parker) che invita a cambiare le vecchie abitudini e così, invece di ordinare il classico cosmopolitan, ordina la birra.
E poi ancora, Micheal Bublè nello spot Bud Light che all’inizio sembra un classico annuncio di birra, ma poi si trasforma in un trailer per la stagione 8 di Game of Thrones, per finire con Pepsi, con l’ennesimo spot che alimenta l’ormai storica guerra con Coca-cola. Ad eccezione di un annuncio Nike lo scorso settembre a sostegno di Colin Kaepernick e una pubblicità di Gillette sulla scia di #MeToo, esattamente come l’anno precedente, tornare agli anni 50, ingaggiare un bell’attore che dica quanto è funzionale il nostro prodotto, può bastare.
Cos’è più giusto fare allora?
Dire la propria opinione a qualsiasi costo rappresentando il nostro periodo storico in cui grazie a nuovi strumenti di comunicazione tutti (o quasi) hanno la possibilità di parlare, oppure tacere, fare un passo indietro e aspettare che si calmino le acque per tornare a fare i moralisti? Anche esporsi, schierarsi e affermare le proprie idee è un valore che forse non ha bisogno di uno spot pubblicitario per essere affermato.
[Cover Ph. by Christopher Alvarenga on Unsplash]