Definita come la “quarta rivoluzione industriale”, l’Industria 4.0 riguarda nuovi processi di automazione, oltre che un utilizzo strategico dei dati. Marco Taisch, ordinario al Politecnico di Milano, ci ha raccontato in un’intervista i tratti principali di questo nuovo modo di fare impresa, che non può prescindere dalle persone, con un forte sostegno alla formazione.
Ad oltre un anno dalla presentazione del Piano Calenda, qual è lo stato dell’arte delle imprese che oggi scelgono di scommettere sulle tecnologie digitali per crescere? Quali sono i benefici raggiunti e quelli attesi nell’immediato futuro?
Se noi guardiamo i dati, dal 2011 al 2017 vediamo un aumento dell’11% degli investimenti da parte delle imprese in termini di asset produttivi. Questo significa che il Piano è stato ben recepito ed è, secondo me, il principale beneficio che è stato raggiunto.
Ce n’è un secondo, ben diverso, ma che ritengo sia ugualmente importante ed è legato al numero di imprese che oggi conoscono l’Industria 4.0 e quindi sanno che abbiamo a disposizione tutta una serie di tecnologie digitali che sono fondamentali per l’impresa, per la sua produttività e per l’aumento della competitività. Nel maggio 2016, abbiamo fatto un’indagine che ha rivelato che il 38% delle imprese ha dichiarato di non conoscere l’Industria 4.0, cioè di non sapere cosa fosse questa rivoluzione industriale.
La stessa indagine, fatta nel maggio 2017, ha riportato che solo l’8% delle imprese non conosceva l’Industria 4.0. Questo significa che c’è stato un effetto di diffusione della cultura o comunque di questo paradigma del mondo industriale italiano che, secondo me, è altrettanto importante rispetto all’aumento degli investimenti. Il far sapere che ci sono delle tecnologie digitali e che queste possono essere utilizzate dalle aziende per aumentare la produttività è il risultato più importante che abbiamo raggiunto.
Si parla molto a proposito di Industria 4.0, dell’aspetto di robotizzazione e di un presunto effetto negativo che questo potrebbe avere sull’occupazione. Quanto c’è di realmente incisivo in questo aspetto e quali sono, invece, gli allarmismi rispetto a una normale trasformazione fisiologica degli asset industriali?
Credo che ci siano due prospettive da affrontare. La questione non riguarda solo i robot e l’automazione in sé, cioè non si tratta solo di una sostituzione dell’uomo da parte dei robot, ma dell’aumento dell’utilizzo di analisi e dell’Intelligenza Artificiale, e quindi di sistemi che consentono di prendere delle decisioni in maniera automatica. Il tema è molto più ampio del semplice robot che sostituisce l’uomo.
Nel breve periodo, credo che possa esserci un effetto negativo perché l’uso di queste tecnologie avverrà in modo molto rapido e più velocemente della nostra capacità di andare a riconfigurare le persone e le competenze e quindi, di creare nuove opportunità di lavoro per queste persone. Nel lungo periodo, invece, penso che questo processo corrisponda ad un aumento di compatibilità del nostro paese e che sia una trasformazione positiva.
Oggi, soffriamo una forte competizione rispetto ai paesi a basso costo della manodopera, con l’Industria 4.0 questo gap si riduce, o forse si annulla, perché il costo di un robot è tale e quale in Italia come in Cina, il costo di un algoritmo è lo stesso; questo significa poter recuperare competitività, riportare le fabbriche in Italia e creare nuovi posti di lavoro.
Quali sono o quali saranno le competenze strategiche in questa transizione?
Ce n’è una fondamentale, che se vogliamo è un po’ orizzontale. Questa rivoluzione non vuol dire avere macchine – utensili che producono pezzi, ma avere la capacità di leggere i dati.
Questa rivoluzione vuol dire produrre di più perché il sistema produttivo nel suo complesso produce di più, grazie alla sua capacità di leggere e usare i dati e di prendere le decisioni in maniera più veloce e contestuale.
La competenza fondamentale è esattamente questa, cioè saper usare il dato, l’informazione in un modo in cui prima non avevamo esigenza di fare. Il colletto blu, ovvero colui che sta davanti alla macchina – utensile, deve fare questo salto, deve abbandonare un po’ di blu e diventare più bianco. La sua evoluzione è quella di “controllare” piuttosto che “fare”. La competenza più utile sarà proprio questa capacità di trasformarsi insieme all’Industria.
Marco Taisch è professore ordinario al Politecnico di Milano, School of Management Manufacturing Group, dove insegna Advanced and Sustainable Manufacturing and Operations Management. È coordinatore del Manufacturing Group, membro del Board EFFRA (European Factories of the Future Reserach Association) e del board del Cluster Italiano Fabbrica Intelligente. Siede nella Cabina di Regia del Piano Nazionale Industria 4.0, coordinato dal Ministero dell’Industria e dello Sviluppo Economico. Dal 2002, si è dedicato allo studio dei trend tecnologici svolgendo per la Commissione Europea alcune roadmap tecnologiche e degli studi di Technologies Foresight sul Manufacturing. Fondatore e chairman scientifico del World Manufacturing Forum. Socio fondatore di Miratek, spin – off del Politecnico di Milano, sui temi dell’Industria 4.0