Illustrare significa possedere tecnica e coordinazione, concentrazione e leggerezza. La scelta di cosa illustrare è invece il frutto di una complessa sequenza di variabili: il proprio background, la musica che ascolti, i film che vedi nel tempo libero. Di questo (e molto altro) abbiamo chiaccherato insieme a Marcello Crescenzi, che con il suo progetto Rise Above si occupa di illustrazione dal 2006.
Qual è stato il tuo percorso di formazione?
È stato non lineare ma molto denso. Ho iniziato con studi di Storia dell’Arte, poi per mantenermi durante l’università ho iniziato a lavorare con altri amici mettendo su uno studio grafico nei primi anni 2000. Mentre lavoravo lì, terminati gli studi, iniziai a dedicarmi all’illustrazione con più serietà per poi dedicarmici via via sempre più, fino a occuparmi solo di questa dal 2007.
Quanto è importante il momento della ricerca e dello studio per realizzare un progetto?
Parafrasando Bruno Munari da “Arte come mestiere”, il processo creativo è per l’1% ispirazione e il resto è lavoro. Di questo 99% di lavoro credo che quello di ricerca (teorica e tecnica) sia più della metà. Per come la vedo io, poi, una ricerca non può essere slegata dallo studio. Devi sapere dove andare a ricercare e cosa, o quantomeno avere la cultura per intuirlo dove andare a ricercare e cosa. A tentoni su Google non è mai un buon metodo, può funzionare ma è una toppa messa lì al volo: se si vogliono fare le cose fatte bene bisogna studiare. Bisogna cominciare a combattere questo modo semplicistico di pensare allo studio come un qualcosa in più di cui volendo si può fare a meno se non addirittura un inutile passatempo per accedere al lavoro. È un modo deleterio di “pensare” che ci sta portando verso l’analfabetismo di ritorno ma anche al fatto che nessuno sa fare il suo lavoro in senso profondo, capendo in profondità il processo che attua e le responsabilità che ne derivano, il “fare” senza il “pensare” è una cosa buona solo per il lavoro dei somari da tiro. E assieme a questo modo di pensare va combattuta di rimbalzo anche l’idea cretina che il creativo viva di colpi di genio e doti sovrannaturali, il famoso “dono di natura” grazie al quale tutto è facile e istintivo.
Sono fandonie: i creativi, gli artisti, i designer, quelli bravi e seri, sono persone che studiano e lavorano duro e quando hanno “il colpo di genio” è perché a monte ci sono anni di studio e lavoro per farselo venire, non ci sono miracoli. Quando li paghiamo non paghiamo solo il progetto e il tempo che hanno messo a realizzarlo ma anche il tempo che ci hanno messo per imparare a farlo in quel modo e farlo in quei tempi.
Illustrazione editoriale e pubblicitaria. Due mondi, forse paralleli. Come ti ci trovi, e con quale dei due ti trovi maggiormente a tuo agio?
In questo momento della mia vita preferisco quella editoriale ma non è la regola e non è immutabile come preferenza. Quella pubblicitaria richiede di lavorare sull’iconicità, che è un tema che mi interessa molto; c’è un lavoro di sintesi concettuale per arrivare al senso immediatamente traducibile dell’immagine che è molto interessante ma anche molto impegnativo e potenzialmente frustrante perché basta pochissimo per sentirsi dire “Hmmm, no. Non funziona” dopo giorni di lavoro. Quella editoriale la preferisco al momento perché è più narrativa, permette di raccontare con più calma e spesso di mi richiede di raccontare cose a cui non avrei mai pensato di mettere mano o che non conosco affatto. Per il discorso di cui sopra mi metto a fare ricerca, oltre il contenuto dell’articolo in sé, e a fine lavorazione assieme al progetto illustrato ho anche approfondito un argomento. Per dire: dopo un anno e passa come illustratore fisso della rivista Gambero Rosso mi sto facendo una piccola cultura eno gastronomica, che era abbastanza ferma ai piatti regionali e al rosso della casa.
Ti sei occupato, tra le varie esperienze con brand, di un marchio iconico nella storia della musica, Marshall. Ci racconti di questa esperienza, e del legame che hai con la musica?
Sono appassionato di musica da sempre, da bambino passavo letteralmente ore ipnotizzato a giocare ascoltando la filodiffusione dei radio RAI e a saltare sul letto ascoltando Elvis con mia madre. A otto anni avevo già dei dischi miei; è una malattia esantematica che sviluppi da piccolo, probabilmente.
Assieme alla musica classica il mio primo e più lungo amore è stato il rock’n’roll, quindi quando mi trovai questa e-mail da parte dell’ufficio creativo della Marshall ebbi un momento di vera incredulità, una sorpresa bellissima. E anche un onore, perché Marshall al di là del suo logo non produceva grafiche per il suo merchandise. Iniziò con quella serie a cui partecipai, assieme ai famosi designer di LAND. Ascolto musica ogni giorno da quando ho memoria, nel mio lavoro è stata più che un sottofondo: è stata portante e quasi per ogni disegno ti saprei dire cosa stavo ascoltando mentre lo facevo, a questa intervista sto rispondendo ascoltando “Ooh La La” dei Faces, per la cronaca.
Cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere l’attività di illustratore professionista?
Di studiare, di nuovo. Non mi stancherò mai di ripeterlo: studiate, non necessariamente da illustratore.
La tecnica è importante ma è la parte “ginnica”, richiede la disciplina dell’atleta perché in fondo è coordinazione testa-occhio-mano. Lo si può imparare con applicazione costante. Quello che disegni con questa tecnica è invece frutto della tua cultura personale, deve venire negli anni, dai libri che leggi, dalla musica che ascolti, dalle lezioni a scuola che frequenti come dai film che vedi nel tenpo libero, dall’attualità, dalla scienza, insomma viene da un mondo di informazioni immateriali, viene dai concetti. Se escludi questo piano sei condannato semplicemente a rifare immagini che hai visto. Un bravo illustratore secondo me è uno che studia al quadrato, studia in senso umanistico e poi studia in senso tecnico, solo così riesci a dare plusvalore al tuo lavoro.
Nato, cresciuto e in attività a Roma; si occupa di illustrazione con una particolare attenzione al folklore, alla Storia e ai territori del Mito. Ha lavorato negli anni per ogni media e per realtà eterogenee, da Gucci alle band heavy metal, dalla Rai alle fanzine musicali e, da quanto dice, gli piace così.