Poco tempo fa Nivea se l’è presa con gli uomini «troppo pelosi», nel 2017 Pandora ha parlato delle donne in modo degradante…che succede online quando si fanno gravi errori nella comunicazione?
Negli ultimi anni abbiamo visto tantissimi brand abbracciare cause dall’ampio respiro sociale, come la sostenibilità ambientale, le tematiche LGBTQ+ o la lotta al razzismo (basti pensare a tutti i brand che hanno supportato il movimento #BlackLivesMatter negli ultimi mesi). Ma ci sono ancora tanti (troppi) esempi di brand che fanno errori nella loro comunicazione.
Il caso Nivea e i suoi errori di comunicazione
Un esempio recente è quello di Nivea che a ottobre ha pubblicato sul suo sito un articolo riguardante la depilazione maschile. L’articolo ora non si trova più, ma c’è chi ha fatto degli screenshot che sono stati pubblicati online, come ad esempio la pagina IoVoceNarrante.
Nivea attacca gli uomini «troppo pelosi», sostenendo che ormai è impensabile per un «uomo vero» non depilarsi, a meno che non abbia un po’ di pancia. In quel caso è meglio lasciare un po’ di peli per nascondere il grasso. Quello che viene veicolato è un modello di mascolinità totalmente tossica contro il quale bisognerebbe combattere.
Il web non resta mai in silenzio davanti a questi errori di comunicazione, infatti, oltre a @IoVoceNarrante, sono arrivate altre reazioni. Come, ad esempio, quella di @sunny_coals che, riferendosi alla campagna Nivea, ha scritto: «si comprende quanta strada ci sia ancora da fare per raggiungere un avanzamento culturale degno di nota in questa società ancorata a modelli estetici malsani».
Non ce ne sono pochi di casi come questo, ma per fortuna nel mondo dei social network c’è sempre qualcuno pronto a dire questo non va bene.
Altri errori di comunicazione famosi
Vi ricordate la campagna per Natale fatta da Pandora nel 2017?
Il cartellone pubblicitario recitava così: «Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?». Sui social si scatenò una tempesta e molti accusarono Pandora di sessismo. L’azienda dichiarò che la scelta venne dettata dal fatto che le donne spesso a Natale ricevono regali non graditi, proprio come i grembiuli e i pigiami. Però è evidente che associare, ancora oggi, queste immagini alla donna denota una visione abbastanza retrograda.
Una cosa simile è successa pure a Barilla qualche anno fa, che però è riuscita a cogliere l’occasione per cambiare degli atteggiamenti aziendali e aumentare così la sua brand reputation.
Nel 2013 Guido Barilla dichiarò: «non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca». Questa dichiarazione fu decisamente dannosa per l’immagine del brand, ma, come è possibile leggere su un articolo dell’Huffington Post del 2015, l’azienda iniziò subito cambiare atteggiamento riguardo alla tematica LGBTQ+. La Barilla, infatti, in poco tempo ottenne «un punteggio perfetto dalla Human Right Campaign, un’importante associazione per i diritti degli omosessuali che stila ogni anno il Corporate equality index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali in questo campo».
Il consumatore contemporaneo è sempre più informato, non solo sui prodotti, ma soprattutto sui valori simbolici dei brand. Il mondo valoriale che costruisci introno al tuo brand sarà fondamentale per la percezione che ne ha il pubblico e, quindi, per la tua brand reputation. La reputazione, infatti, oggi è assolutamente fondamentale, soprattutto sul web, come già avevamo scritto nel nostro articolo L’importanza della web reputation per le aziende.
I brand devono imparare a comunicare in modo diverso. Devono e accettare la loro responsabilità a livello sociale e sviluppare delle narrazioni credibili. Per parlare ai propri consumatori bisogna prima ascoltare cosa questi hanno da dire.